Va rilevato che l’accertata conoscenza, da parte dell’ex coniuge (nel caso specifico la ex moglie), della password di accesso alla casella elettronica precedentemente impostata dall’altro coniuge (ex marito), non esclude la sussistenza del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico. Come è noto, infatti, integra il reato di cui all’art. 615 ter, c.p., la condotta di colui che accede abusivamente all’altrui casella di posta elettronica, trattandosi di una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell’esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio (cfr. Cass., sez. V, 28.10.2015, n. 13057, rv. 266182).
Nel caso in esame la circostanza che la ricorrente fosse a conoscenza della password di accesso al sistema informatico non esclude il carattere abusivo dei due accessi da lei effettuati, in considerazione del risultato ottenuto – palesemente in contrasto con la volontà del titolare della casella elettronica – di determinare il cambio della password con impostazione di una nuova domanda di recupero ed inserimento della frase ingiuriosa “quando lo hai preso nel kulo“. Ne consegue che correttamente la corte territoriale, nell’evidenziare, inoltre, come gli accessi abusivi abbiano anche temporaneamente escluso l’Anelli dalla fruizione del servizio di posta elettronica, ha concluso nel senso di ritenere “pienamente provato il superamento da parte dell’imputata dei limiti intrinseci connessi con la conoscenza della password”.
Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista dall’art. 615 ter c.p., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni e di limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. un., 27/10/2011, n. 4694, rv 251270). E certo non può ritenersi rispettosa delle regole dettate dal titolare della casella elettronica per consentirne l’accesso, la condotta di chi utilizza la password, fosse anche ottenuta con il consenso del titolare, per modificarla indebitamente, impedendo a quest’ultimo di accedervi.
Pertanto l’accesso alla posta elettronica di un altro soggetto è considerato reato, anche se si conosce la password, così come stabilito dalla Corte di Cassazione Sezione Quinta Penale in una recente sentenza n. 52575 del 17 Novembre 2017, (udienza del 6 Giugno 2017 Presidente Fumo Maurizio e Relatore Guardiano Alfredo).
Scarica in pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 52575 del 2017: Corte di Cassazione sentenza n. 52572 del 2017