Nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, per la giurisprudenza della Corte di Cassazione, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. da ultimo, Cass. 19732 del 2018, che richiama Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).
In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità, non assumendo rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative, ove ricorra una situazione di totale fungibilità tra i dipendenti.
Di contro la tutela reale del posto di lavoro non può spingersi fino ad escludere la possibile incidenza di successive vicende determinanti l’estinzione del vincolo obbligatorio. Tra queste ultime rientra certamente la sopravvenuta materiale impossibilità totale e definitiva di adempiere l’obbligazione, non imputabile a norma dell’art. 1256 cod. civ., che è ravvisabile nella sopraggiunta cessazione totale dell’attività aziendale, da accertare, caso per caso, anche ove l’imprenditore sia stato ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori (in tali termini, Cass. n. 7267 del 1998).
In conclusione, come si evince da quanto sopra indicato, con la recente Ordinanza n. 1888 del 28 gennaio 2020 la Corte di Cassazione afferma che la reintegra nel posto di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo, trova uno “stop” nel caso in cui la crisi aziendale ed un mutamento della organizzazione, renda impossibile la ricostituzione del rapporto. Di conseguenza, in tali casi ben definiti, il giudice di merito deve limitarsi a quantificare il diritto al risarcimento del danno dalla data del recesso illegittimo fino a quella della ricostituzione del rapporto.
Scarica in pdf l’Ordinanza n. 1888 del 2020 della Corte di Cassazione sezione Lavoro: Corte di Cassazione Ordinanza 1888 del 2020
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