La Seconda Sezione Civile del Tribunale di Verona ha emesso un interessante sentenza (n. 195 del 2017) dove ha esaminato un caso nel quale venivano trasferite somme in valuta avente corso legale (Euro) in cambio di bitcoin (criptovaluta – crittovaluta – criptomoneta), da una persona fisica a società di informatica con l’obiettivo di costituire una base finanziaria utile per un’operazione di crowdfunding. Effettuato il pagamento in Euro, agli investitori non veniva mai reso operativo il portafoglio (wallet) in bitcoin. Pertanto gli investitori erano costretti a citare in giudizio la società informatica, che aveva di fatto riscosso le somme, per la restituzione delle stesse.
Vista la modernità della tematica e la sua peculiarità è doveroso chiarire alcune istruzioni terminologiche:
- criptovaluta – crittovaluta – criptomoneta: sono rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente. Alcuni esempi sono Bitcoin, LiteCoin e Ripple. Esse utilizzano tecnologie di tipo peer-to-peer (p2p) su reti i cui nodi sono computer di utenti disseminati in tutto il globo. Su questi computer vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di portamonete. Non c’è attualmente alcuna autorità centrale che le controlla. Le transazioni e il rilascio avvengono collettivamente in rete, pertanto non c’è una gestione di tipo “centralizzato”. Queste proprietà uniche nel loro genere, non possono essere esplicate dai sistemi di pagamento tradizionale.
- crowdfunding: dall’inglese crowd folla e funding finanziamento, finanziamento collettivo in italiano ed è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. Il crowfunding è un canale di finanziamento, alternativo rispetto a quello rappresentato dagli intermediari creditizi, per mezzo del quale famiglie, start up, piccole imprese sono finanziate direttamente da una moltitudine di investitori. L’incontro tra domanda e offerta avviene su piattaforme on-line. Esistono varie tipologie di crowdfunding come il donation-based crowdfunding dove i finanziatori effettuano donazioni senza pretendere nulla in cambio, il reward-based crowdfunding dove i soggetti finanziati promettono ai finanziatori un compenso in natura e l’equity-based crowdfunding dove i finanziatori partecipano al capitale di un’impresa (tipicamente una start-up o una impresa di costruzioni) confidando della futura distribuzione di dividendi e della rivalutazione delle quote di partecipazione. Il caso del Tribunale veronese aveva ad oggetto un equity crowdfunding, infatti si caratterizzava nella vendita di azioni dell’impresa finanziata ai diversi investitori in cambio del loro investimento.
Nell’esaminare il rapporto tra gli investitori e la società del caso in esame, il Tribunale ha ritenuto che il rapporto in forza del quale due parti concludono on-line un contratto di cambio di valuta reale con bitcoin integra un servizio finanziario, nella misura in cui il bitcoin è uno strumento finanziario utilizzato per compiere una serie di particolari forme di transazioni online costituito da una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer.
Per quanto sopra, il giudice del Tribunale di Verona nell’esaminare il caso ed emettere sentenza ha tenuto conto due fonti normative:
- la risoluzione 72/E dell’Agenzia delle Entrate;
- la sentenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea, causa C-264/14.
Secondo tali fonti le operazioni di cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, sono qualificate come prestazioni di servizio a titolo oneroso sub specie di intermediazioni nell’acquisto e vendita di bitcoin. Pertanto viene confermata l’evidente natura contrattuale delle operazioni in esame, qualificabili come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori. Tale operazioni devono sottostare alla disciplina dell’art. 67 bis del Codice del Consumo trattandosi di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. Tale disciplina prevede, in estrema sintesi, che il consumatore abbia diritto:
- di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore;
- di essere informato, “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta:
- i) dell’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
- ii) l’identità del professionista e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
- iii) l’iscrizione del fornitore in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
- iv) delle principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
- v) del meccanismo di formazione del prezzo in senso lato;
- del rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riguardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione degli eventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione (si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari;
- vii) dei rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
- viii) dello “Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
Appurata la totale assenza, nella singola operazione, di informativa fornita al cliente, così come di un documento contrattuale redatto per iscritto, e quindi la violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale di cui agli artt. 67-duodecies ss. Codice Consumo «violazione degli obblighi di informativa precontrattuale, idonea ad alterare in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche dell’investimento», il Tribunale ha affermato la nullità del contratto (ex art. 67-septiesdecies cod. cons.) e, a cascata ex art. 2033 c.c., il conseguente obbligo per la società di cambio di restituire il capitale in Euro investito dagli attori.
Scarica in pdf la sentenza del Tribunale di Verona n. 195 del 2017: sentenza 195 del 2017 Tribunale di Verona