Una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa”, hanno ritenuto necessario chiarire che l’esito di tale interpretazione non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio. Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che: «Deve tenersi ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on-line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo», ed ha concluso, quindi, con il precisare che: «Anche il social-network più diffuso, denominato Facebook, non è inquadrabile nel concetto di “stampa”», essendo: «un servizio di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra più persone all’interno dello stesso sistema». Da qui la correttezza della qualificazione giuridica del fatto compiuta dal giudice nel provvedimento impugnato, che ha ineccepibilmente ritenuto essere il delitto di diffamazione contestato all’imputato aggravato dalla sola circostanza prevista dall’art. 595, commi 2 e 3, cod. pen. – offesa arrecata mediante l’attribuzione di un fatto determinato con un qualunque mezzo di pubblicità – e non anche da quella prevista dall’art. 13 L. n. 47/1948 – attribuzione di un fatto determinato con il mezzo della stampa. Lo ha sancito la quinta sezione della Corte di Cassazione, respingendo in questo caso il ricorso del procuratore della Repubblica di Imperia. Non si trattò di diffamazione aggravata dal fatto determinato e “dal mezzo della stampa”, ma di semplice diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità” (Facebook). L’esclusione della legge 47/1948 sulla stampa dimezza la pena massima prevista da 6 a 3 anni. Nel specifico caso la Cassazione, la bacheca del social network è stata incasellata nell’articolo 595 del codice penale.
(Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 4873 Anno 2017 Presidente: Bruno Paolo Antonio Relatore: Cordamaglia Irene, depositata il 1 febbraio 2017)
Scarica il file pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 4873 del 2017: sentenza Cassazione n. 4873 anno 2017
Proprietà intellettuale: in che modo la proprietà intellettuale ci riguarda?
31 Gennaio 2017Separazione – Sentenza della Cassazione: non dovuti gli alimenti al coniuge se quest’ultimo non prova di non riuscire a trovare un’occupazione
14 Febbraio 2017Corte di Cassazione – diffamazione via Facebook: il social non può essere paragonato alla stampa, ma ad un mezzo di pubblicità
Una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa”, hanno ritenuto necessario chiarire che l’esito di tale interpretazione non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio. Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che: «Deve tenersi ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on-line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo», ed ha concluso, quindi, con il precisare che: «Anche il social-network più diffuso, denominato Facebook, non è inquadrabile nel concetto di “stampa”», essendo: «un servizio di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra più persone all’interno dello stesso sistema». Da qui la correttezza della qualificazione giuridica del fatto compiuta dal giudice nel provvedimento impugnato, che ha ineccepibilmente ritenuto essere il delitto di diffamazione contestato all’imputato aggravato dalla sola circostanza prevista dall’art. 595, commi 2 e 3, cod. pen. – offesa arrecata mediante l’attribuzione di un fatto determinato con un qualunque mezzo di pubblicità – e non anche da quella prevista dall’art. 13 L. n. 47/1948 – attribuzione di un fatto determinato con il mezzo della stampa. Lo ha sancito la quinta sezione della Corte di Cassazione, respingendo in questo caso il ricorso del procuratore della Repubblica di Imperia. Non si trattò di diffamazione aggravata dal fatto determinato e “dal mezzo della stampa”, ma di semplice diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità” (Facebook). L’esclusione della legge 47/1948 sulla stampa dimezza la pena massima prevista da 6 a 3 anni. Nel specifico caso la Cassazione, la bacheca del social network è stata incasellata nell’articolo 595 del codice penale.
(Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 4873 Anno 2017 Presidente: Bruno Paolo Antonio Relatore: Cordamaglia Irene, depositata il 1 febbraio 2017)
Scarica il file pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 4873 del 2017: sentenza Cassazione n. 4873 anno 2017