Di recente a Luglio 2018, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al caso di una lavoratrice che è stata licenziata per giustificato motivo oggettivo a seguito della riduzione dell’appalto di pulizia alla quale era addetta.
Per come era stato accertato dalla Corte territoriale la ragione del licenziamento è stata ravvista nella riduzione di un appalto che ha determinato la soppressione di posizioni lavorative impiegate in mansioni omogenee e fungibili.
Nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personaleomogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (vedesi Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).
In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti).
Il principio di diritto già affermato dalla Corte di Cassazione e attualmente ribadito secondo cui, in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla I. n. 92 del 2012 prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria (v. Cass. n. 14021 del 2016; conf. Cass. n. 30323 del 2017 e Cass. n. 1373 del 2018).
Pertanto, per quanto sopra indicato, la Corte di Cassazione sezione Lavoro Civile con la sentenza n° 19732 del 25 Luglio 2018 da affermato che se il licenziamento individuale per motivo oggettivo è fondato, ma il datore di lavoro ha applicato criteri di scelta non corretti, il dipendente non ha diritto alla reintegra ma alla tutela indennitaria.
Scarica in pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 19732 del 2018: Corte di Cassazione sentenza n. 19732 del 2018