Con l’ordinanza n. 15094/2018, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che l’attività investigativa operata con soggetti esterni (come per esempio le agenzie investigative) da una impresa nei confronti del proprio personale è legittima soltanto se promossa sul presupposto dell’esistenza di un atto illecito già compiuto o in corso, riconducibile per tanto al mero inadempimento dell’obbligazione lavorativa.
Tale attività non deve sconfinare in un controllo “nascosto” sull’attività lavorativa.
La Suprema Corte elenca una serie di ipotesi di controlli investigativi leciti:
- la verifica dei comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi);
- la verifica sull’attività extra lavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (Cass. n. 12810 del 2017);
- nel caso di controlli finalizzati all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014).
Pertanto risulta errata in diritto l’affermazione secondo cui “nessun divieto può configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro”.
Per quanto sopra l’utilizzo dell’investigatore, non può sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, che è riservata dall’articolo 3 del dello Statuto dei lavoratori direttamente al datore di lavoroe ai suoi collaboratori.
Scarica in pdf l’Ordinanza n. 15094 del 11/06/2018 della sez. Lavoro: Ordinanza della Corte di Cassazione n. 15094 del 2018