Di recente la Corte di Cassazione è intervenuta nell’approfondire la problematica inerente l’obbligo giuridico, in capo al datore di lavoro, di adottare le misure necessarie per interrompere e disinnescare il rapporto causale tra malessere lavorativo e malattia conseguente.
Sempre la cCorte prima di scendere nel merito della controversia evidenzia gli orientamenti oramai consolidati dalla stessa Cassazione:
– è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima (Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684);
– è configurabile lo straining, quale forma attenuata di mobbing, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164) o esse siano limitate nel numero (Cass. 29 marzo 2018, n. 7844), ma comunque con effetti dannosi rispetto all’interessato.
La Corte sostiene che vi sia un nesso addirittura notorio, tra una generica malattia psichica e la capacità di affrontare le relazioni interpersonali, al punto di ingenerare un’impossibilità datoriale di porre rimedio allo scaturire dal lavoro di un danno per il lavoratore interessato è affermazione apodittica e non riportabile ad una regola o ad un fatto di comune esperienza e che si colloca come tale al di fuori dell’ambito di cui all’art. 115, co. 2, c.p.c.. Le conseguenze interpersonali o socio relazionali delle malattie psichiche appartengono, allo stato, al patrimonio tipico delle conoscenze e degli apprezzamenti scientifici dell’ambito specialistico medico-legale e psichiatrico, palesemente non surrogabile da valutazioni, consequenzialmente sommarie e grossolane, del c.d. quisque de populo; ne consegue che risulta viziato il ragionamento di escludere la responsabilità datoriale per impossibilità di impedire l’evento (ovverosia il danno consequenziale alle condizioni lavorative), dal che deriva la violazione anche dell’art. 2087 c.c..
Per quanto indicato in epigrafe, con la sentenza del 4 giugno 2019 n. 15159 della Corte di Cassazione, se il lavoro ingenera un malessere psichico, il datore di lavoro accusato di mobbing, deve intervenire sulla causa di disagio.
Scarica in pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 15159 del 2019 Sez. Lavoro Civile: Corte di Cassazione sentenza 15159 del 2918