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Insubordinazione con ingiuria via WhatsApp: quando un messaggio diventa reato militare

Una recente sentenza della Cassazione fa chiarezza sui limiti della comunicazione digitale in ambito militare. Nel crescente utilizzo delle piattaforme di messaggistica istantanea come WhatsApp anche in ambito professionale, emerge un tema delicato per il personale militare: i confini del rispetto gerarchico nella comunicazione digitale. La recente sentenza n. 5820 del 2025 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione su questo tema.

 

Il caso: rispetto gerarchico e comunicazione digitale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un militare condannato per insubordinazione con ingiuria commessa nei confronti di un superiore tramite messaggi WhatsApp. La vicenda riguarda un militare che, vedendosi “sottratto” un giorno di riposo per esigenze di servizio, ha reagito con toni beffardi ed espressioni ingiuriose in una conversazione digitale con il proprio superiore gerarchico.

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: “Nel reato militare di insubordinazione con ingiuria, integra l’offesa all’onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore nonché l’uso di tono arrogante, perché contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il soggetto di grado più elevato deve essere tutelato, non solo nell’espressione della sua personalità umana, ma anche nell’ascendente morale di cui ha bisogno per un degno esercizio dell’autorità del grado e della funzione di comando“.

Elementi chiave della condanna

Secondo quanto emerge dalla sentenza, a nulla è valso il fatto che:

  • Il militare fosse in quel momento libero dal servizio
  • Tra lui e il superiore esistesse un rapporto di confidenzialità (testimoniato dall’uso del “tu”)
  • La conversazione si fosse conclusa “in modo pacifico”

La Corte ha ritenuto particolarmente rilevanti:

  1. Il tono palesemente arrogante
  2. L’accusa di favoritismo rivolta al superiore
  3. L’occasionale turpiloquio
  4. L’esortazione a “comportarsi da uomo”
  5. Il tentativo di far valere la propria anzianità anagrafica.

Inoltre, ha pesato negativamente anche il tentativo successivo del militare di cancellare parte dei messaggi scambiati, interpretato come un modo per “sfuggire alle proprie responsabilità”.

La particolare tenuità del fatto: quando non si applica

Un aspetto interessante della sentenza riguarda il mancato riconoscimento della “particolare tenuità del fatto” (art. 131-bis cod. pen.). La Cassazione ha confermato che tale beneficio non può essere concesso quando:

  • La condotta offensiva prosegue nonostante i richiami al rispetto
  • Si manifesta un atteggiamento di sfida e disconoscimento dell’autorità
  • Si dimostra insensibilità alle esigenze del servizio e della disciplina militare

È importante notare che la Corte distingue nettamente tra il concetto di “particolare tenuità” e quello di “minore gravità” del fatto. Quest’ultima ha consentito la riduzione della pena, ma non è stata sufficiente per il proscioglimento.

 

Conclusioni: la disciplina militare nell’era digitale

Questa sentenza rappresenta un importante precedente nell’interpretazione del reato di insubordinazione con ingiuria nell’era digitale. La Corte chiarisce che:

  • Le comunicazioni digitali non sono “zone franche” dal rispetto della gerarchia militare
  • L’elemento soggettivo (dolo) è presente quando vi è consapevolezza di rivolgersi a un superiore per questioni di servizio
  • La confidenzialità concessa dal superiore non autorizza a venir meno al rispetto dovuto

La decisione della Cassazione conferma che, nell’ordinamento militare, il rispetto della gerarchia resta un valore fondamentale, indipendentemente dal mezzo di comunicazione utilizzato.

 

Studio Legale MOLEGALE.IT esperto in Diritto Militare

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Per scaricare la sentenza n. 5820 del 2025 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione clicca sul seguente link: Corte di Cassazione sentenza n. 5820 del 2025

 

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