La Corte ha affermato che l’integrazione mensile del canone ‘ufficiale’ costituiva una dazione di denaro non giustificata dal sinallagma negoziale e, in quanto tale, era da considerare “priva di una causa giustificatrice sotto il profilo economico sociale”; evidenziano che gli elementi istruttori raccolti (compresa la dichiarazione confessoria) deponevano nel senso che le parti si erano accordate per la corresponsione di un canone doppio di quello risultante dalla scrittura (da corrispondere -per metà- “in nero”) ed assumono che la Corte avrebbe dovuto dichiarare dovuto il canone effettivamente pattuito e non il minor importo risultante dal contratto scritto (violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132,n. 4 c.p.c., degli artt. 2730 e 2697 c.c. e dell’art. 79 1. n. 392/78).
Pertanto la Corte di Cassazione – Civile sez. III con la sentenza n. 20395 del 2016 approva la restituzione di quanto l’affittuario aveva indebitamente versato al locatore a titolo di importi aggiuntivi rispetto al canone previsto da scrittura privata.
La locazione di un immobile, con relativa corresponsione di un canone di affitto, sulla base di un accordo verbale è considerata nulla. La Legge n. 431/1998, all’articolo 1, stabilisce infatti esplicitamente che “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”.