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Mandato d’arresto europeo e ne bis in idem: i confini applicativi secondo la recente giurisprudenza

Il principio del ne bis in idem rappresenta uno dei cardini fondamentali del sistema giuridico, garantendo che nessuno possa essere giudicato due volte per lo stesso reato. Questo principio trova applicazione anche nell’ambito del mandato d’arresto europeo (MAE), strumento di cooperazione giudiziaria tra Stati membri dell’Unione Europea. Tuttavia, la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sui limiti applicativi di tale principio.

La recente pronuncia della Cassazione

Con la sentenza n. 4339 del 3 febbraio 2025, la Sezione feriale della Corte di Cassazione ha stabilito un principio di diritto fondamentale: in tema di mandato di arresto europeo non si configura violazione del principio del ne bis in idem quando la precedente decisione ha negato la consegna definendo solo questioni di rito o meramente pregiudiziali.

Il caso esaminato riguardava una donna richiesta dalle Autorità rumene per i reati di associazione per delinquere, tratta di minori ed evasione. I giudici di merito avevano respinto la richiesta di consegna, disponendo l’esecuzione della pena in Italia, considerato che l’imputata risiedeva legittimamente e continuativamente nel territorio italiano da almeno 5 anni.

La ricorrente aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il nuovo mandato di arresto europeo fosse la riproposizione di un precedente MAE già deciso dalla Corte territoriale con rigetto della richiesta di consegna, e che pertanto si configurasse una violazione del ne bis in idem.

L’orientamento giurisprudenziale consolidato

La Suprema Corte ha richiamato l’orientamento consolidato secondo cui, anche in tema di mandato d’arresto europeo, l’art. 707 c.p.p. (applicabile alla consegna europea in virtù dell’art. 39, comma 1, l. n. 69 del 2005) attribuisce alla sentenza definitiva che dichiara non sussistenti le condizioni per l’accoglimento di una prima domanda di consegna un effetto preclusivo “allo stato degli atti” e “rebus sic stantibus”.

Tale effetto preclusivo è destinato a venir meno qualora la nuova domanda richieda l’apprezzamento di elementi in precedenza non valutati dall’autorità giudiziaria, come affermato dalla Cassazione Penale, Sez. VI, nella sentenza n. 25333 del 25 giugno 2021.

Quando non si applica il divieto di secondo giudizio

La Corte ha chiarito che non configura violazione del principio del ne bis in idem la pronuncia di una successiva decisione che dispone la consegna dell’interessato all’autorità giudiziaria dello Stato richiedente quando una precedente decisione abbia negato detta consegna definendo solo questioni attinenti al rito o meramente pregiudiziali, senza deliberare sul merito della richiesta.

In particolare, il divieto di un secondo giudizio non trova applicazione quando:

  • La consegna sia stata negata senza una decisione sulla sussistenza dei relativi presupposti
  • Il rifiuto sia derivato dal mancato invio da parte dello Stato richiedente della documentazione integrativa richiesta
  • La precedente decisione si sia basata non sulla valutazione dei presupposti sostanziali ma solo su decadenze formali

Il caso specifico esaminato dalla Cassazione

Nel caso esaminato, la Corte ha osservato che, nel primo procedimento, le informazioni richieste erano finalizzate a conoscere le condizioni detentive assicurate in Romania a madre di prole di età inferiore a tre anni, in previsione dell’esecuzione della pena nello Stato emittente.

I giudici hanno ritenuto che non fosse stato neppure addotto il motivo di rifiuto della residenza continuativa in Italia da oltre cinque anni, che giustifica il rifiuto della consegna a condizione che la pena sia eseguita in Italia. In tale ultimo caso, infatti, risulterebbero irrilevanti ed ininfluenti le informazioni richieste sulle condizioni riservate alle madri detenute in Romania.

Aspetti procedurali rilevanti

È importante ricordare che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide sulla consegna deve essere presentato, a pena di inammissibilità, nella cancelleria del giudice che lo ha emesso entro il termine perentorio di cinque giorni dalla conoscenza legale della sentenza impugnata, decorrenti dalla lettura del provvedimento che, ai sensi dell’art. 17 comma 6 L. 69/2005, equivale a notificazione alle parti anche se non presenti.

Tale disciplina si applica anche alle sentenze in materia di riconoscimento per l’esecuzione in Italia di condanne emesse in altri Stati membri UE, in virtù del rinvio operato dall’art. 12 comma 10 D.Lgs. 161/2010 all’art. 22 L. 69/2005, come modificato dal D.Lgs. 10/2021.

Conclusioni

La giurisprudenza di legittimità ha quindi delineato con chiarezza i confini applicativi del principio del ne bis in idem nell’ambito del mandato d’arresto europeo, individuando le ipotesi in cui una nuova decisione sulla consegna non viola tale principio. La distinzione fondamentale risiede tra decisioni che entrano nel merito della richiesta e decisioni che si limitano a definire questioni procedurali o pregiudiziali.

Questa differenziazione garantisce un equilibrio tra l’esigenza di evitare duplicazioni di giudizi e quella di assicurare l’efficacia dello strumento di cooperazione giudiziaria rappresentato dal mandato d’arresto europeo.

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Scarica l’Ordinanza n. 4339 del 2025 della Corte di Cassazione dal seguente link: Corte di Cassazione Sentenza n. 4339 del 2025

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