A prescindere dall’effettiva veridicità delle circostanze segnalate all’autorità giudiziaria (veridicità che non è oggetto dell’instaurato procedimento disciplinare che, come detto, ha come unico presupposto la violazione delle disposizioni regolamentari citate) è evidente che il ricorrente ha esercitato un diritto di denunciare sotto la propria personale responsabilità (penale e/o disciplinare sotto altri profili) fatti ritenuti delittuosi. Come dedotto da parte ricorrente nella fattispecie non si tratta di “una relazione di servizio e disciplinare” che doveva essere inoltrata per via gerarchica (l’art. 52, comma 2, lett. b) del regolamento applicato dall’amministrazione si riferisce a “eventi in cui fosse rimasto coinvolto il militare e che possono avere riflessi sul servizio da questi espletato”) ma l’espressione di un diritto di denuncia che non può essere soggetto, attraverso la minaccia della sanzione, ad una sorta di filtro gerarchico. Una diversa interpretazione condurrebbe alla inaccettabile conclusione che il militare venuto a conoscenza di un reato in qualche modo connesso al servizio che espleta, non potrebbe denunciarlo dovendo rivolgersi esclusivamente agli organi interni gerarchicamente sovraordinati. Tanto più nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, il fatto ritenuto penalmente rilevante coinvolge in qualche modo proprio l’operato e il comportamento dei superiori gerarchici. Evidente, per le ragioni che precedono, che rivestono carattere assorbente, l’illegittimità della sanzione inflitta non potendo il regolamento disciplinare militare essere interpretato e applicato nei termini in cui lo ha fatto l’amministrazione. Per quanto sopra argomentato il ricorso va accolto anche in parte qua e, per l’effetto, deve essere annullata anche la impugnata sanzione disciplinare (Sentenza del TAR – Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 295 del 2008).
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