Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26807 del settembre 2020, ha esaminato la controversia se la vendita di bitcoin (una criptomoneta) su internet costituisce reato oppure no. Il quesito su cui si è focalizzata la Cassazione risiede sul fatto che vi sono dei casi in cui si ricorre all’illecito penale e altri casi no in base alla condotta dell’individuo; il problema, che invece non viene affrontato, risiede nella qualificazione giuridica dell’attività di cambiavalute, che rischia di essere sempre esaminata con parametri inadeguati a causa della complessità e della assenza normativa del nuovo fenomeno digitale. Secondo la recente sentenza, la Cassazione non accetta ché le valute virtuali non sono prodotti di investimento, ma mezzi di pagamento, sottratte alla normativa in materia di strumenti finanziari.
Per gli Ermellini la vendita di bitcoin, che nel caso specifico, veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, tanto che sul sito ove veniva pubblicizzata si davano informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, affermando che “chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%“, si tratta di attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti del TUF (la vendita è assoggettata al controllo della CONSOB secondo quanto indicato dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett. c) TUF. Detto articolo punisce con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da euro quattromila a euro diecimila chi offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento. Pertanto vendere bitcoin su un sito Internet è reato, se non si ottemperano le norme di intermediazione finanziaria; il reato che si configura sarebbe quello di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria.
Approfondendo il medesimo tema in un’ottica europea, mentre in Italia la Corte di Cassazione ha stabilito che le criptovalute non sono degli strumenti di pagamento ma dei veri e propri prodotti finanziari soggetti al Testo Unico sulla finanza, in Europa la BCE con il recente “Digital Euro” mira a farle proprie e a trasformarle in uno strumento di pagamento alternativo al contante. Come si vede c’è ancora tanto da normare dal punto di vista giuridico alla luce degli approcci contrastanti sulla natura e gli impieghi delle criptovalute.
Scarica in pdf la sentenza della Corte di Cassazione n. 26807 del 5 ottobre 2020: Corte di Cassazione sentenza n. 26807 del 2020
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